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Scusate per la rarità con cui escono ultimamente le lezioni. Ho veramente molto altro per la testa. In ogni caso, il corso continua, quindi ecco la nostra seconda ora del tè. Tratteremo le radici di quelli che sono oggi i manga!
Si chiamavano Emakimono, ed erano fra le prime opere narrative giapponesi. Consistevano in scene d'amore, guerra o religiose dipinte o stampate su rotolo.
In particolare, queste sono immagini tratte dal Genji Monogatari, un caposaldo della letteratura giapponese. Un testo che tratta le avventure e gli amori del secondogenito dell'imperatore giapponese del tempo, appunto Genji, detto Hikaru Genji, lo splendente.
Le illustrazioni erano copiose, e praticamente sempre accompagnate da una spiegazione o narrazione scritta. Si attuava qui l'uso dei kana, per la precisione hiragana, ossia le sillabe che abbiamo visto fin'ora.
Lo stile era corsivo, moooolto corsivo, un po' come le vecchie lettere che possiamo trovare nella cultura occidentale.
Gli hiragana, come forse ho già detto, derivano interamente dai caratteri cinesi, i quali coesistono ancora oggi, insieme alle sillabe, nella scrittura giapponese.
Tuttavia, queste opere, venivano scritte in hiragana. Un alfabeto sinuoso e dolce rivolto ad un pubblico prevalentemente femminile, come lo era il contenuto delle storie. Fra l'altro, le donne difficilmente usavano i kanji, che erano una "prerogativa" degli uomini, un po' come l'altro alfabeto, il katakana, che vedremo nelle prossime lezioni.
Ecco un'evoluzione illustrata dei kanji (che, ribadisco, sono presenti ancora oggi) verso, in rosso, le sillabe corsive prima, e quelle usate tutt'oggi poi.
Precisiamo una cosa. Queste sillabe, agli esordi, erano usate sotto forma di kanji. Essendo il cinese una lingua essenzialmente monosillabica, in cui a ogni kanji appartiene una lettura che può essere ridotta o adattata a una singola sillaba giapponese, i kanji venivano usati per comporre parole giapponesi, preservando la lettura cinese (anche se addomesticata alla fonetica giapponese).
È come se io scrivessi "gatto" in questo modo: がっと. Un giapponese lo legge "gatto", ma per lui non significa nulla. Così i primi scrittori incollavano insieme diversi kanji cinesi per ottenere a livello fonetico parole giapponesi. Un esempio
烏梅能波奈
questo letteralmente significa... "uccello prugna abilità onda Nara (città)"... ma se letto con la lettura che a quell'epoca i giapponesi avevano assegnato ai caratteri cinesi, otteniamo 'u-me-no-ha-na', ossai 'ume no hana', che significa "fiori di pesco" e, se volessimo scriverlo in giapponese moderno, avrebbe quest'aspetto:
梅の花
niente a che vedere con quei kanji, ma soprattutto niente a che vedere con uccelli e prugne (si parla di pesche! mah)
Modificato da Dragon7, 14 June 2010 - 21:38 PM.