Silver Element
presenta
Ultima Stella
Introduzione allo scritto
Ebbene non pensavo che dopo ben quattro anni dal completamento di Diario di Viaggio mi sarei rimesso a scrivere qualcosa sul forum, dopo la premessa (post fallimento di Memorie della Nuova Terra) di non scrivere mai più racconti su forum a causa dell'impegno e costanza che richiedono.
A dire il vero mi è venuta nostalgia leggendo alcuni passaggi di DDV ieri sera, e così spinto dall'impeto e dalla nostalgia stessa ho buttato giù un inizio, qualcosa di diverso rispetto al passato, ma nemmeno tanto. Credo che la mia scrittura sia maturata, anzi spero, e quasi per mettermi alla prova ho iniziato a tirare fuori idee, fare schemi e creare i personaggi...
Così nasce Ultima Stella, un racconto di fantascienza tutt'altro che pura, mescolata con fantasy, dai personaggi improbabili e che ha un retrogusto di western.
Insomma, perché dovrei scrivere, e voi dovreste leggere, qualcosa del genere?
Perché ho voglia di farlo, e scriverò, che voi abbiate voglia di leggere, commentare o meno.
Vorrei dire due cose a riguardo della storia, ma non vorrei rovinarvi troppo la lettura quindi farò solo una brevissima introduzione:
Ultima Stella narra le (dis)avventure di Andrew Hunter, un mercenario e cacciatore di taglie maleducato e dalla lingua lunga, che non sa tenere le mani a posto e che è davvero un gran bastardo.
La sua vita è destinata però a cambiare quando incontra Mia, una ragazza sveglia che lo aiuterà a tirarsi fuori da un brutto pasticcio, che però nasconde un grande segreto...
Direi di non avere altro da dire al riguardo.
E ora vi lascio al primo capitolo:
Capitolo I: L'uomo delle stelle.
La Damsel in Distress era una bella nave. Lo scafo affusolato e le piccole ali di stabilizzazione la facevano assomigliare ad una ballerina con addosso un tutù, pronta per esibirsi al proprio saggio. Il bello era che danzava per davvero. Quando il suo pilota decideva che era ora di ballare lei eseguiva volteggi, piroette, salti. Era la stella del cosmo.
Sicuramente un tempo lo scafo stato in condizioni migliori di quelle in cui era ora. La vernice scura si stava scrostando quasi completamente e anche alcuni pannelli termoisolanti iniziavano a cedere; per non parlare poi del motore: stentava a partire, e se partiva non era sempre detto che ti portasse a destinazione.
Nonostante ormai fosse davvero un rottame, ad Andrew piaceva la sua piccola. Ultimamente l’aveva trattata un po’male, anzi, la stava ancora trattando male, ma non poteva farci niente.
Andrew James Hunter era un mercenario e cacciatore di taglie di venticinque anni, affiliato alla banda di Roza, il cui stemma era ben riconoscibile sullo scafo della Damsel, e si era salvato da un’imboscata tesagli da una banda rivale proprio poche ore prima.
Purtroppo anche se era riuscito a fuggire la nave era ridotta ad un colabrodo. Gli stabilizzatori di volo erano andati, il motore sbuffava più del solito e per giunta, facendo un Salto nell’iperspazio alla cieca era arrivato troppo vicino ad un pianeta. Se non fosse riuscito a sistemare la sua traiettoria in tempo sarebbe finito nel campo gravitazionale del pianeta, e nel peggiore dei casi si sarebbe schiantato su di esso.
La Damsel non disponeva di una di quelle IA di ultima generazione, capaci di controllare costantemente tutti i sistemi e il loro corretto funzionamento, e Andrew nemmeno ne voleva una sulla sua piccola. Già il computer di bordo gli bastava con i suoi continui richiami e avvisi:
- Attenzione! Ingresso nel campo gravitazionale del corpo celeste 1943/23 imminente! Correggere l’assetto di volo per l’atterraggio! -
Se ne stava zitta per qualche istante, poi ripartiva a piena voce.
Non poteva certo biasimarla, in fondo faceva solo il suo lavoro, ma quella usa vocina metallica insistente minacciava di fargli perdere il controllo. Se solo non avesse accettato quell’incarico probabilmente ora sarebbe stato tranquillamente a rilassarsi sotto le palme di uno dei tanti mondi turistici del quadrante vicino.
La proposta che gli aveva fatto il capo gli era sembrata buona: poca strada, soldi facili e senza doversi sporcare troppo le mani, ma qualcosa era andato storto.
Avrebbe dovuto scortare alcune navi mercantili dalla loro corporazione ad una stazione orbitale di un settore vicino, tuttavia durante il tragitto si era trovato a fronteggiare ben quattro caccia pesanti della banda dei Lupi d’Argento, mercenari come lui, che avevano ben pensato di mostrare i denti e sparare qualche colpo. All’inizio gli era sembrata solo una scaramuccia ed era stato al gioco rispondendo al fuoco con il fuoco, ma quando una delle loro navi aveva tentato di fuggire facendo un Salto nell’iperspazio, ingenuamente Andrew le si era buttato dietro, finendo in una imboscata.
Fu riportato alla realtà da un nuovo avviso del computer di bordo:
- Attenzione! Assetto d’atterraggio errato! Correggere l’assetto di volo! -
- Cretina! Come se potessi farlo. Gli stabilizzatori sono andati a puttane, dovresti saperlo meglio di me. –
- Attenzione! Assetto d’atterraggio errato! Correggere l’assetto di volo! –
- E stai un po’zitta! –
- Attenzione! Assetto… -
Batté un pugno sulla consolle di comando, risolvendo assolutamente niente.
Se le cose fossero andate avanti così, in meno di un quarto d’ora sarebbe finito spalmato sulla superficie del pianeta, e non ci avrebbe ricavato un soldo.
Cercò in qualche modo di trovare una soluzione al suo problema. Doveva pur esserci un modo per controllare la discesa anche senza dover per forza ricorrere necessariamente agli stabilizzatori esterni.
Gli venne un’idea. Se fosse riuscito a rallentare la caduta effettuando delle virate inizialmente, per poi fare dei veri e propri movimenti circolari con la nave, forse sarebbe riuscito ad evitare di diventare una cotoletta spappolata.
Non aveva niente da perdere, quindi valeva la pena tentare.
La cloche era dura come una sbarra di ferro cementificata. Dovette piantare bene i piedi a terra e tirare con tutta la sua forza per riuscire ad effettuare la prima virata. Da li poi sarebbe stato tutto più semplice. Nel frattempo il computer di bordo continuava con la sua cantilena, avvisando che l’impatto era imminente.
Ora Andrew era entrato nell’atmosfera superiore del pianeta.
Ci fu un calo di tensione all’interno della Damsel che fece temporaneamente zittire l’insistente vocina metallica, permettendo così alle orecchie del pilota di rilassarsi, almeno momentaneamente. Tuttavia anche alcuni degli strumenti di bordo che servivano ad Andrew per capire lo stato delle cose all’esterno erano saltati con quel piccolo calo di elettricità. Ora doveva davvero arrangiarsi come poteva.
Non aveva mai provato a guidare a “vista”, anche perché nello spazio serviva a poco. Tuttavia in fase di atterraggio numerosi piloti si affidavano ancora a quel senso, senza ignorare del tutto gli strumenti a loro disposizione ovviamente.
Fortunatamente almeno l’altimetro funzionava ancora, anche se Andrew non avrebbe giurato che stesse effettivamente dicendo la verità data l’assurdità della situazione.
Iniziò ad effettuare le prime manovre circolari, riducendo gradatamente anche la potenza del motore. La nave sembrava effettivamente rallentare, e il pilota riuscì a tirare un sospiro di sollievo. Se tutto fosse andato come sperava l’atterraggio sarebbe andato anche meglio del previsto.
Il computer di bordo riprese a parlare, informandolo di non essere su una pista d’atterraggio della Federazione Terrestre, e di non avere i permessi per atterrare.
Andrew non le prestò attenzione, era troppo impegnato ad imprecare e cercare un buon posto in cui far scendere la nave.
Virò nuovamente e in lontananza scorse qualcosa che poteva vagamente assomigliare ad un villaggio. Si diresse in quella direzione, tuttavia improvvisamente il motore cessò di funzionare e la nave precipitò. L’ultima cosa che riuscì a fare prima di perdere completamente il controllo del suo mezzo fu quella di attivare il sistema di protezione per il suo sedile.
Uno schianto. Odore di fumo. Buio.
Quando riprese i sensi era ancora seduto alla consolle di comando. A quanto sembrava il sistema salvavita della sedia aveva funzionato. Si sganciò dal sedile e cercò di uscire dalla nave.
Dall’esterno sembrava meno mal messa di quanto fosse veramente. Secondo le sue stime il motore era completamente andato, come pure la maggior parte dei sistemi primari. Non aveva modo di andarsene da li, almeno non in breve tempo.
Rientrò nell’enorme carcassa della Damsel e cercò di fare il punto della situazione: era precipitato su un pianeta che non conosceva, era senza alcun tipo di assistenza da parte della Federazione Terrestre e della banda di Roza.
Era atterrato in una zona desertica, non che il pianeta offrisse molto altro da quanto aveva visto dall’alto, e una volta calata la notte sarebbe riuscito a trovare un punto di riferimento nel cielo stellato in modo da risalire alla sua posizione attuale.
Non aveva idea di che ora fosse sul pianeta, ma a giudicare dalla luminosità all’esterno poteva essere mezzogiorno o poco meno. Decise di dirigersi verso il villaggio che aveva scorto mentre cercava di atterrare. Forse avrebbe trovato qualche informazione utile.
Sopra la canottiera nero azzurra indossò un mantello scuro con lo stemma di Roza, un pugno rosso che stringeva una rosa bianca, e si mise un paio di stivali pesanti.
Non sapeva cosa aspettarsi all’esterno, dunque prese anche una pistola e un caricatore per sicurezza. Sotto al mantello aveva una fondina per tenere l’arma e per estrarla in modo rapido in caso di emergenza. Non che ci tenesse a doverla usare ovviamente.
Nonostante la tecnologia le armi a raggi portatili erano ancora una realtà molto lontana, e di certo un mercenario sgangherato come Andrew non avrebbe avuto nemmeno i fondi per permettersele se fossero state in vendita. Inoltre i generatori di energia occupavano spazio, dunque quelle poche armi che riuscivano a funzionare venivano montante solo sulle navi. Era impensabile produrre un generatore miniaturizzato.
Arrivò al villaggio quasi un’ora dopo aver lasciato la Damsel. Fortunatamente aveva preso con sé anche un traduttore universale che gli permetteva di comunicare con chiunque senza dover conoscere in modo perfetto la lingua dell’interlocutore.
I nativi di quel pianeta avevano la pelle abbronzata, capelli e occhi scuri, inoltre indossavano tutti abiti tessuti in modo naturale.
- Non avete fabbriche qui? – chiese ad un negoziante mentre cercava di informarsi con maggior precisione sulla zona in cui si trovava.
- Fabbriche? – rispose quello – E cosa sarebbero? Si mangiano? –
- No, credo non siano particolarmente commestibili. Sapreste dirmi dov’è la capitale? –
- Beh, l’ultima volta era a circa dieci giorni di viaggio verso nord, le notizie che ci giungono sono frammentarie quindi non ci giurerei, ma dicono che sia stata spostata di nuovo. –
- Capisco. Che mezzi di trasporto avete? Come posso raggiungere la capitale? –
- A piedi. –
- A piedi nel mezzo del deserto per giorni? –
- Perché? Dov’è il problema? Ci sono delle piste che vengono usate apposta per questo. Tra qualche giorno dovrebbe partire un gruppo verso Keeda. Prova a parlare con Iguen alla locanda. –
Uscì dal negozio che vendeva alimentari di dubbio genere e provenienza, tra i quali spiccavano delle strane radici violacee e terrine di carne secca, talmente secca da essere come la corteccia di un albero.
Andrew entrò nella locanda e la trovò più sporca e malconcia di quanto avesse potuto immaginare. I tavoli nella sala centrale erano quasi tutti rotti o comunque stavano in piedi per miracolo. Al bancone c’era un tipo alto e pelato, intento a pulire i bicchieri che comunque avevano un aspetto orribile. Non c’era nessun’altro nella stanza.
- Prendi qualcosa? – chiese il barista mentre Andrew si avvicinava.
Era indeciso. Cosa poteva prendere da bere? Un frullato di radici? Uova di scorpione con Whiskey? Cosa diavolo servivano in quel bar?
Decise di andare sul sicuro – Scegli tu. –
Il barista sorrise e annuì, poi si mise ad armeggiare con alcune bottiglie e infine gli porse un bicchiere pieno di un liquido dal colore ambrato. A prima vista sembrava birra.
Non poteva tirarsi indietro ora. Afferrò con convinzione il bicchiere e prese una sorsata della bevanda.
Aveva lo stesso sapore della birra. Forse non era poi così fuori dall’universo civilizzato come aveva temuto in principio.
- Non male. – disse dopo aver preso anche una seconda sorsata.
- Sei uno straniero. Nessuno girerebbe vestito così da queste parti. –
- Ah, mi hai beccato eh. Si sono uno straniero. La mia nave è andata in panne e sono bloccato qui per un po’.
A tal proposito, sto cercando un certo Iguen. Mi hanno detto che lo avrei trovato qui. –
- Ce l’hai di fronte, ragazzo. –
Che coincidenza. Tutto questo gli avrebbe fatto risparmiare tempo e fatica.
- Devo raggiungere la capitale quanto prima. Ho saputo che un gruppo di persone sarebbe partito tra qualche giorno, speravo di potermi aggregare. -
Iguen lo scrutò dall’alto al basso per qualche istante prima di parlare.
- Mi dispiace ma siamo al completo per questo viaggio. -
- Ne sei sicuro? –
- Certo. –
- Completamente sicuro? – chiese Andrew fissando il pelato direttamente negli occhi.
L’uomo non sembrava intimorito dai modi del mercenario, che dovette desistere e lasciar perdere l’idea di aggregarsi a quel gruppo.
Cercò nelle tasche alcuni crediti per pagare la birra, ma il barista gli disse:
- Oggi offre la casa. –
- Ah…grazie. –
- Tuttavia, che cosa intendevi quando hai detto che la tua nave è andata in panne? Qui vicino non ci sono mari o specchi d’acqua. –
Inizialmente Andrew non comprese, poi lentamente gli si accese una lampadina in testa. Aveva capito perché il mercante non sapeva cosa fossero le fabbriche e ora pure Iguen fosse sbalordito nel sentir parlare di una nave in panne nel mezzo del deserto.
Era finito su un pianeta in cui la tecnologia era arretrata, molto arretrata. Probabilmente nemmeno sapevano che l’uomo poteva viaggiare tra le stelle e che c’erano altri mondi abitati al di fuori del loro.
Ostentando una sicurezza che non aveva rispose:
- Ah quello. Non intendevo una vera e propria nave. Io la chiamo così, il mio mezzo di trasporto intendo. -
Iguen non sembrava molto convinto, ma annuì comunque e guardò con aria seria la schiena di Andrew che si allontanava.
Tornato alla Damsel Andrew si gettò sul letto nella sua cabina e si passò una mano tra i corti capelli biondi. Che cosa poteva fare ora? Niente, assolutamente niente. Era tagliato fuori da tutto e tutti e non aveva alcun modo per contattare la banda di Roza o la Federazione.
Anche se avesse tentato di costruire una rudimentale radio a ultraonde non c’era alcuna garanzia che qualcuno le intercettasse e venisse a recuperarlo.
Forse dopo un po’che il capo non avesse avuto sue notizie si sarebbe messo a cercarlo. Non era quel genere di persona che si dimentica dei propri sottoposti.
Si, sarebbe andata sicuramente così, doveva solo aspettare. Aspettare e ridurre al minimo i contatti con le popolazioni locali.
Una delle principali leggi della Federazione era quella di non interferire con la vita indigena di pianeti non tecnologicamente progrediti, in modo da non deviare la loro storia e farli evolvere secondo i loro modi e tempi.
La Damsel aveva un campo d’occultamento, ma probabilmente era stato messo fuori uso dall’impatto, quindi non c’era modo di celare l’esistenza della nave. Doveva giocare d’astuzia e sperare che nessuno si avvicinasse abbastanza da poterla vedere bene e chiedersi che cosa fosse.
Si alzò dal letto e si diresse verso l’esterno. Fuori trovò un’inaspettata sorpresa.
Una ragazza, che avrebbe potuto avere dai quattordici ai diciassette anni, lo fissava con aria allegra. Aveva i capelli scuri legati in una treccia che le ricadeva sulla spalla destra, gli abiti erano logori e tutt’altro che adatti ad una ragazza: pantaloni e casacca scucita.
- E tu chi cazzo sei? – chiese con fare minaccioso Andrew.
Gli occhietti vispi di lei lo fissavano con fare malizioso, e prima che lui potesse dire altro lei rispose:
- Mia, piacere di conoscerti Andrew, uomo delle stelle. –
Lui fece per ribattere, ma accorse di aver lasciato il traduttore in camera. Rimase quindi sbalordito a fissare il viso abbronzato della ragazza che lo guardava sorridente.
Prossimamente:
Il secondo capitolo!