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Screen Contest #90

Kamikun






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Ultima Stella

    Silver Element
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#1 Inviato 02 May 2011 - 19:00 PM

Silver Element
presenta

Ultima Stella


Introduzione allo scritto
Ebbene non pensavo che dopo ben quattro anni dal completamento di Diario di Viaggio mi sarei rimesso a scrivere qualcosa sul forum, dopo la premessa (post fallimento di Memorie della Nuova Terra) di non scrivere mai più racconti su forum a causa dell'impegno e costanza che richiedono.
A dire il vero mi è venuta nostalgia leggendo alcuni passaggi di DDV ieri sera, e così spinto dall'impeto e dalla nostalgia stessa ho buttato giù un inizio, qualcosa di diverso rispetto al passato, ma nemmeno tanto. Credo che la mia scrittura sia maturata, anzi spero, e quasi per mettermi alla prova ho iniziato a tirare fuori idee, fare schemi e creare i personaggi...
Così nasce Ultima Stella, un racconto di fantascienza tutt'altro che pura, mescolata con fantasy, dai personaggi improbabili e che ha un retrogusto di western.
Insomma, perché dovrei scrivere, e voi dovreste leggere, qualcosa del genere?
Perché ho voglia di farlo, e scriverò, che voi abbiate voglia di leggere, commentare o meno.

Vorrei dire due cose a riguardo della storia, ma non vorrei rovinarvi troppo la lettura quindi farò solo una brevissima introduzione:
Ultima Stella narra le (dis)avventure di Andrew Hunter, un mercenario e cacciatore di taglie maleducato e dalla lingua lunga, che non sa tenere le mani a posto e che è davvero un gran bastardo.
La sua vita è destinata però a cambiare quando incontra Mia, una ragazza sveglia che lo aiuterà a tirarsi fuori da un brutto pasticcio, che però nasconde un grande segreto...

Direi di non avere altro da dire al riguardo.
E ora vi lascio al primo capitolo:


Capitolo I: L'uomo delle stelle.

La Damsel in Distress era una bella nave. Lo scafo affusolato e le piccole ali di stabilizzazione la facevano assomigliare ad una ballerina con addosso un tutù, pronta per esibirsi al proprio saggio. Il bello era che danzava per davvero. Quando il suo pilota decideva che era ora di ballare lei eseguiva volteggi, piroette, salti. Era la stella del cosmo.
Sicuramente un tempo lo scafo stato in condizioni migliori di quelle in cui era ora. La vernice scura si stava scrostando quasi completamente e anche alcuni pannelli termoisolanti iniziavano a cedere; per non parlare poi del motore: stentava a partire, e se partiva non era sempre detto che ti portasse a destinazione.
Nonostante ormai fosse davvero un rottame, ad Andrew piaceva la sua piccola. Ultimamente l’aveva trattata un po’male, anzi, la stava ancora trattando male, ma non poteva farci niente.
Andrew James Hunter era un mercenario e cacciatore di taglie di venticinque anni, affiliato alla banda di Roza, il cui stemma era ben riconoscibile sullo scafo della Damsel, e si era salvato da un’imboscata tesagli da una banda rivale proprio poche ore prima.
Purtroppo anche se era riuscito a fuggire la nave era ridotta ad un colabrodo. Gli stabilizzatori di volo erano andati, il motore sbuffava più del solito e per giunta, facendo un Salto nell’iperspazio alla cieca era arrivato troppo vicino ad un pianeta. Se non fosse riuscito a sistemare la sua traiettoria in tempo sarebbe finito nel campo gravitazionale del pianeta, e nel peggiore dei casi si sarebbe schiantato su di esso.
La Damsel non disponeva di una di quelle IA di ultima generazione, capaci di controllare costantemente tutti i sistemi e il loro corretto funzionamento, e Andrew nemmeno ne voleva una sulla sua piccola. Già il computer di bordo gli bastava con i suoi continui richiami e avvisi:
- Attenzione! Ingresso nel campo gravitazionale del corpo celeste 1943/23 imminente! Correggere l’assetto di volo per l’atterraggio! -
Se ne stava zitta per qualche istante, poi ripartiva a piena voce.
Non poteva certo biasimarla, in fondo faceva solo il suo lavoro, ma quella usa vocina metallica insistente minacciava di fargli perdere il controllo. Se solo non avesse accettato quell’incarico probabilmente ora sarebbe stato tranquillamente a rilassarsi sotto le palme di uno dei tanti mondi turistici del quadrante vicino.
La proposta che gli aveva fatto il capo gli era sembrata buona: poca strada, soldi facili e senza doversi sporcare troppo le mani, ma qualcosa era andato storto.
Avrebbe dovuto scortare alcune navi mercantili dalla loro corporazione ad una stazione orbitale di un settore vicino, tuttavia durante il tragitto si era trovato a fronteggiare ben quattro caccia pesanti della banda dei Lupi d’Argento, mercenari come lui, che avevano ben pensato di mostrare i denti e sparare qualche colpo. All’inizio gli era sembrata solo una scaramuccia ed era stato al gioco rispondendo al fuoco con il fuoco, ma quando una delle loro navi aveva tentato di fuggire facendo un Salto nell’iperspazio, ingenuamente Andrew le si era buttato dietro, finendo in una imboscata.
Fu riportato alla realtà da un nuovo avviso del computer di bordo:
- Attenzione! Assetto d’atterraggio errato! Correggere l’assetto di volo! -
- Cretina! Come se potessi farlo. Gli stabilizzatori sono andati a puttane, dovresti saperlo meglio di me. –
- Attenzione! Assetto d’atterraggio errato! Correggere l’assetto di volo! –
- E stai un po’zitta! –
- Attenzione! Assetto… -
Batté un pugno sulla consolle di comando, risolvendo assolutamente niente.
Se le cose fossero andate avanti così, in meno di un quarto d’ora sarebbe finito spalmato sulla superficie del pianeta, e non ci avrebbe ricavato un soldo.
Cercò in qualche modo di trovare una soluzione al suo problema. Doveva pur esserci un modo per controllare la discesa anche senza dover per forza ricorrere necessariamente agli stabilizzatori esterni.
Gli venne un’idea. Se fosse riuscito a rallentare la caduta effettuando delle virate inizialmente, per poi fare dei veri e propri movimenti circolari con la nave, forse sarebbe riuscito ad evitare di diventare una cotoletta spappolata.
Non aveva niente da perdere, quindi valeva la pena tentare.
La cloche era dura come una sbarra di ferro cementificata. Dovette piantare bene i piedi a terra e tirare con tutta la sua forza per riuscire ad effettuare la prima virata. Da li poi sarebbe stato tutto più semplice. Nel frattempo il computer di bordo continuava con la sua cantilena, avvisando che l’impatto era imminente.
Ora Andrew era entrato nell’atmosfera superiore del pianeta.
Ci fu un calo di tensione all’interno della Damsel che fece temporaneamente zittire l’insistente vocina metallica, permettendo così alle orecchie del pilota di rilassarsi, almeno momentaneamente. Tuttavia anche alcuni degli strumenti di bordo che servivano ad Andrew per capire lo stato delle cose all’esterno erano saltati con quel piccolo calo di elettricità. Ora doveva davvero arrangiarsi come poteva.
Non aveva mai provato a guidare a “vista”, anche perché nello spazio serviva a poco. Tuttavia in fase di atterraggio numerosi piloti si affidavano ancora a quel senso, senza ignorare del tutto gli strumenti a loro disposizione ovviamente.
Fortunatamente almeno l’altimetro funzionava ancora, anche se Andrew non avrebbe giurato che stesse effettivamente dicendo la verità data l’assurdità della situazione.
Iniziò ad effettuare le prime manovre circolari, riducendo gradatamente anche la potenza del motore. La nave sembrava effettivamente rallentare, e il pilota riuscì a tirare un sospiro di sollievo. Se tutto fosse andato come sperava l’atterraggio sarebbe andato anche meglio del previsto.
Il computer di bordo riprese a parlare, informandolo di non essere su una pista d’atterraggio della Federazione Terrestre, e di non avere i permessi per atterrare.
Andrew non le prestò attenzione, era troppo impegnato ad imprecare e cercare un buon posto in cui far scendere la nave.
Virò nuovamente e in lontananza scorse qualcosa che poteva vagamente assomigliare ad un villaggio. Si diresse in quella direzione, tuttavia improvvisamente il motore cessò di funzionare e la nave precipitò. L’ultima cosa che riuscì a fare prima di perdere completamente il controllo del suo mezzo fu quella di attivare il sistema di protezione per il suo sedile.
Uno schianto. Odore di fumo. Buio.

Quando riprese i sensi era ancora seduto alla consolle di comando. A quanto sembrava il sistema salvavita della sedia aveva funzionato. Si sganciò dal sedile e cercò di uscire dalla nave.
Dall’esterno sembrava meno mal messa di quanto fosse veramente. Secondo le sue stime il motore era completamente andato, come pure la maggior parte dei sistemi primari. Non aveva modo di andarsene da li, almeno non in breve tempo.
Rientrò nell’enorme carcassa della Damsel e cercò di fare il punto della situazione: era precipitato su un pianeta che non conosceva, era senza alcun tipo di assistenza da parte della Federazione Terrestre e della banda di Roza.
Era atterrato in una zona desertica, non che il pianeta offrisse molto altro da quanto aveva visto dall’alto, e una volta calata la notte sarebbe riuscito a trovare un punto di riferimento nel cielo stellato in modo da risalire alla sua posizione attuale.
Non aveva idea di che ora fosse sul pianeta, ma a giudicare dalla luminosità all’esterno poteva essere mezzogiorno o poco meno. Decise di dirigersi verso il villaggio che aveva scorto mentre cercava di atterrare. Forse avrebbe trovato qualche informazione utile.
Sopra la canottiera nero azzurra indossò un mantello scuro con lo stemma di Roza, un pugno rosso che stringeva una rosa bianca, e si mise un paio di stivali pesanti.
Non sapeva cosa aspettarsi all’esterno, dunque prese anche una pistola e un caricatore per sicurezza. Sotto al mantello aveva una fondina per tenere l’arma e per estrarla in modo rapido in caso di emergenza. Non che ci tenesse a doverla usare ovviamente.
Nonostante la tecnologia le armi a raggi portatili erano ancora una realtà molto lontana, e di certo un mercenario sgangherato come Andrew non avrebbe avuto nemmeno i fondi per permettersele se fossero state in vendita. Inoltre i generatori di energia occupavano spazio, dunque quelle poche armi che riuscivano a funzionare venivano montante solo sulle navi. Era impensabile produrre un generatore miniaturizzato.
Arrivò al villaggio quasi un’ora dopo aver lasciato la Damsel. Fortunatamente aveva preso con sé anche un traduttore universale che gli permetteva di comunicare con chiunque senza dover conoscere in modo perfetto la lingua dell’interlocutore.
I nativi di quel pianeta avevano la pelle abbronzata, capelli e occhi scuri, inoltre indossavano tutti abiti tessuti in modo naturale.
- Non avete fabbriche qui? – chiese ad un negoziante mentre cercava di informarsi con maggior precisione sulla zona in cui si trovava.
- Fabbriche? – rispose quello – E cosa sarebbero? Si mangiano? –
- No, credo non siano particolarmente commestibili. Sapreste dirmi dov’è la capitale? –
- Beh, l’ultima volta era a circa dieci giorni di viaggio verso nord, le notizie che ci giungono sono frammentarie quindi non ci giurerei, ma dicono che sia stata spostata di nuovo. –
- Capisco. Che mezzi di trasporto avete? Come posso raggiungere la capitale? –
- A piedi. –
- A piedi nel mezzo del deserto per giorni? –
- Perché? Dov’è il problema? Ci sono delle piste che vengono usate apposta per questo. Tra qualche giorno dovrebbe partire un gruppo verso Keeda. Prova a parlare con Iguen alla locanda. –
Uscì dal negozio che vendeva alimentari di dubbio genere e provenienza, tra i quali spiccavano delle strane radici violacee e terrine di carne secca, talmente secca da essere come la corteccia di un albero.
Andrew entrò nella locanda e la trovò più sporca e malconcia di quanto avesse potuto immaginare. I tavoli nella sala centrale erano quasi tutti rotti o comunque stavano in piedi per miracolo. Al bancone c’era un tipo alto e pelato, intento a pulire i bicchieri che comunque avevano un aspetto orribile. Non c’era nessun’altro nella stanza.
- Prendi qualcosa? – chiese il barista mentre Andrew si avvicinava.
Era indeciso. Cosa poteva prendere da bere? Un frullato di radici? Uova di scorpione con Whiskey? Cosa diavolo servivano in quel bar?
Decise di andare sul sicuro – Scegli tu. –
Il barista sorrise e annuì, poi si mise ad armeggiare con alcune bottiglie e infine gli porse un bicchiere pieno di un liquido dal colore ambrato. A prima vista sembrava birra.
Non poteva tirarsi indietro ora. Afferrò con convinzione il bicchiere e prese una sorsata della bevanda.
Aveva lo stesso sapore della birra. Forse non era poi così fuori dall’universo civilizzato come aveva temuto in principio.
- Non male. – disse dopo aver preso anche una seconda sorsata.
- Sei uno straniero. Nessuno girerebbe vestito così da queste parti. –
- Ah, mi hai beccato eh. Si sono uno straniero. La mia nave è andata in panne e sono bloccato qui per un po’.
A tal proposito, sto cercando un certo Iguen. Mi hanno detto che lo avrei trovato qui. –
- Ce l’hai di fronte, ragazzo. –
Che coincidenza. Tutto questo gli avrebbe fatto risparmiare tempo e fatica.
- Devo raggiungere la capitale quanto prima. Ho saputo che un gruppo di persone sarebbe partito tra qualche giorno, speravo di potermi aggregare. -
Iguen lo scrutò dall’alto al basso per qualche istante prima di parlare.
- Mi dispiace ma siamo al completo per questo viaggio. -
- Ne sei sicuro? –
- Certo. –
- Completamente sicuro? – chiese Andrew fissando il pelato direttamente negli occhi.
L’uomo non sembrava intimorito dai modi del mercenario, che dovette desistere e lasciar perdere l’idea di aggregarsi a quel gruppo.
Cercò nelle tasche alcuni crediti per pagare la birra, ma il barista gli disse:
- Oggi offre la casa. –
- Ah…grazie. –
- Tuttavia, che cosa intendevi quando hai detto che la tua nave è andata in panne? Qui vicino non ci sono mari o specchi d’acqua. –
Inizialmente Andrew non comprese, poi lentamente gli si accese una lampadina in testa. Aveva capito perché il mercante non sapeva cosa fossero le fabbriche e ora pure Iguen fosse sbalordito nel sentir parlare di una nave in panne nel mezzo del deserto.
Era finito su un pianeta in cui la tecnologia era arretrata, molto arretrata. Probabilmente nemmeno sapevano che l’uomo poteva viaggiare tra le stelle e che c’erano altri mondi abitati al di fuori del loro.
Ostentando una sicurezza che non aveva rispose:
- Ah quello. Non intendevo una vera e propria nave. Io la chiamo così, il mio mezzo di trasporto intendo. -
Iguen non sembrava molto convinto, ma annuì comunque e guardò con aria seria la schiena di Andrew che si allontanava.

Tornato alla Damsel Andrew si gettò sul letto nella sua cabina e si passò una mano tra i corti capelli biondi. Che cosa poteva fare ora? Niente, assolutamente niente. Era tagliato fuori da tutto e tutti e non aveva alcun modo per contattare la banda di Roza o la Federazione.
Anche se avesse tentato di costruire una rudimentale radio a ultraonde non c’era alcuna garanzia che qualcuno le intercettasse e venisse a recuperarlo.
Forse dopo un po’che il capo non avesse avuto sue notizie si sarebbe messo a cercarlo. Non era quel genere di persona che si dimentica dei propri sottoposti.
Si, sarebbe andata sicuramente così, doveva solo aspettare. Aspettare e ridurre al minimo i contatti con le popolazioni locali.
Una delle principali leggi della Federazione era quella di non interferire con la vita indigena di pianeti non tecnologicamente progrediti, in modo da non deviare la loro storia e farli evolvere secondo i loro modi e tempi.
La Damsel aveva un campo d’occultamento, ma probabilmente era stato messo fuori uso dall’impatto, quindi non c’era modo di celare l’esistenza della nave. Doveva giocare d’astuzia e sperare che nessuno si avvicinasse abbastanza da poterla vedere bene e chiedersi che cosa fosse.
Si alzò dal letto e si diresse verso l’esterno. Fuori trovò un’inaspettata sorpresa.
Una ragazza, che avrebbe potuto avere dai quattordici ai diciassette anni, lo fissava con aria allegra. Aveva i capelli scuri legati in una treccia che le ricadeva sulla spalla destra, gli abiti erano logori e tutt’altro che adatti ad una ragazza: pantaloni e casacca scucita.
- E tu chi cazzo sei? – chiese con fare minaccioso Andrew.
Gli occhietti vispi di lei lo fissavano con fare malizioso, e prima che lui potesse dire altro lei rispose:
- Mia, piacere di conoscerti Andrew, uomo delle stelle. –
Lui fece per ribattere, ma accorse di aver lasciato il traduttore in camera. Rimase quindi sbalordito a fissare il viso abbronzato della ragazza che lo guardava sorridente.

Prossimamente:
Il secondo capitolo!

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#2 Inviato 02 May 2011 - 23:27 PM

Non mi è spiaciuto come racconto, sembra interessante, ma si è chiuso quando entrava in scena la ragazza! D: In attesa dunque del secondo capitolo :3
^ ^

Non aveva idea di che ora fosse sul pianeta, ma a giudicare dalla luminosità all’esterno poteva essere mezzogiorno o poco meno.

Mmmh in base a cosa? Da pianeta a pianeta non dovrebbe cambiare l'orario? Comunque la durata del giorno e del tempo in generale?
^ ^

(\_/)
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#3 Inviato 03 May 2011 - 16:44 PM

@Guardian: si, ovviamente il tempo di rotazione è diverso quindi cambia l'ora. Ma guardando la luminosità all'esterno puoi farti una vaga idea di che ora è, anche guardando la posizione del sole nel cielo.


Capitolo II: Mia

Mia era decisamente una ragazza fuori dal comune. Riusciva a capire Andrew anche senza che questo avesse con sé il traduttore, inoltre sembrava conoscere molte più cose di quante in realtà non dicesse.
Dopo il loro primo incontro e il primo scambio di battute sulla soglia della Damsel, lo sconcertato mercenario decise di far entrare la ragazza. Almeno tenendola sotto controllo avrebbe potuto capirci qualcosa di più.
Nonostante lo avesse definito “uomo delle stelle”, Mia guardava con genuina curiosità le apparecchiature della nave, tempestando Andrew di domande. Si muoveva come un piccolo gatto che scende per la prima volta in giardino, circospetta eppure attratta da quelle cose nuove che vedeva attorno a sé.
Cercò di farla parlare e di capire chi fosse realmente, ma non ottenne alcun risultato. Le risposte erano vaghe e probabilmente false. La storia andò avanti così fino a quando il sole non scese oltre l’orizzonte, permettendo così alle prime stelle di mostrarsi nel cielo.
Quando fu completamente buio all’esterno Andrew prese gli strumenti che gli sarebbero serviti per calcolare l’angolazione del pianeta basandosi sulle stelle notturne, riuscendo così a capire in che punto dell’universo si trovasse.
Mia, curiosa, lo seguì saltellando e canticchiando.
Non si scambiarono alcuna parola durante tutto il tempo in cui Andrew fece i rilevamenti, anzi, la ragazza rimase stranamente quieta a contemplare l’uomo al lavoro.
Il pianeta sembrava avere tre lune, una piuttosto grande dal colore perlaceo, una più piccola che saliva appena oltre l’orizzonte e poi scompariva nel giro di qualche ora, e una che invece rimaneva fissa nel cielo sia di giorno che di notte.
Andrew non ci aveva fatto caso all’inizio, ma quella era una cosa piuttosto rara per un pianeta del genere. Solitamente i satelliti erano attratti dalla forza di gravità del pianeta principale e ci orbitavano attorno, tuttavia quella strana luna rimaneva fissa, non aveva alcun moto di rivoluzione.
Prese alcuni appunti su un palmare che aveva con sé e poi rientrò nella nave.
Il computer di bordo non era ben messo, ma almeno riuscì ad accedere al database dei pianeti conosciuti. Aveva raccolto abbastanza dati per effettuare una ricerca piuttosto precisa, tuttavia il risultato fu piuttosto deludente: esistevano almeno una decina di pianeti con le stesse caratteristiche di quello su cui si trovava ora.
Era bloccato di nuovo. Se almeno avesse potuto avere qualche dato in più, ma il computer non riusciva ad accedere ai dati rilevati in orbita prima di naufragare. Tuttavia confrontando la mappa del cielo stellato che era riuscito a ricavare prima con quelle presenti nel database si era fatto un’idea approssimativa di dove potesse essere finito, ma non aveva alcuna certezza a tal proposito.
- Ah maledizione…- esclamò mentre cercava di dare un senso agli astri che aveva visto prima – Se solo riuscissi a trovare un punto di riferimento valido. -
Uscì nuovamente all’esterno, ma stavolta non per raccogliere ancora dati.
Si accese una sigaretta e si sedette a terra, sulla sabbia. Rimase li per un sacco di tempo, a guardare il cielo. Era talmente abituato a vedere lo spazio da dentro, che aveva dimenticato come fosse guardarlo da terra, da un pianeta. Fu pervaso da una sensazione di pace e tranquillità. Si sentiva così piccolo e insignificante nel mezzo di tutte quelle stelle, quelle luci che lo guardavano dall’alto.
Chiuse gli occhi e si lasciò avvolgere da quella tranquillità. Attorno a sé non c’era alcun rumore, se non il fruscio del vento sulle dune.
- Bello eh? -
Fu la voce di Mia a riportarlo alla normalità, al presente, all’impatto e al fatto di essere bloccato li.
- Bella merda. -
Lei sorrise, e poi indicò la luna più grande nel cielo notturno.
- Quella è Ra-han. Almeno noi la chiamiamo così. -
- Non credo mi possa essere utile, sgorbio. Dovrei sapere il nome scientifico di quella luna per poterla cercare e individuare la mia posizione di conseguenza, ma dubito che questo cazzo di pianeta sia segnato sulle carte. –
Lei lo guardò inclinando un po’la testa a sinistra e dopo qualche attimo di silenzio disse:
- Non credo di poterti aiutare riguardo a questo. So molte cose, ma tante altre non le so. -
- Capisco. – disse lui ironico – Sei utile come una radio senza corrente. Non potresti farmi un piacere e tornartene da dove sei venuta? –
- Non ti piace la mia compagnia? –
- Non mi piace avere a che fare con ragazzine problematiche come te. –
- Ma io non sono problematica. –
- No? Allora come mai capisci la mia lingua? Come hai fatto a sapere che venivo dalle stelle? –
- E’ un segreto. – rispose lei sorridendo.
- Segreto un cazzo. Parla. –
- Sei volgare lo sai? Non si parla in quel modo ad una ragazza carina come me. – gli fece contro con tono malizioso lei.
In risposta Andrew prese la pistola e senza nemmeno guardare Mia la puntò verso di lei.
- Le tue moine non funzionano su di me. O mi dici chi sei davvero, o ti ritroverai un bel buco in fronte. -
Mia non sembrava minimamente spaventata dalla minaccia, anzi, sembrava molto calma, quasi si aspettasse quel genere di svolta.
- Non lo farai. -
- Cosa me lo impedisce? –
- Io ti servo. –
- Come zerbino saresti ben poco utile. –
- Senza di me non riuscirai a raggiungere la capitale. –
- Come sai che avevo intenzione di raggiungerla? –
- Sei stato alla locanda di Iguen ieri, ti ho tenuto d’occhio da quando sei arrivato al villaggio. –
Andrew rimase silenzioso per qualche istante. Non si fidava completamente da quella ragazza, c’erano troppi misteri che non era ancora riuscito a risolvere, tuttavia rimise la pistola nella fondina.
Si alzò e tornò verso l’interno della Damsel, ma prima di entrare si rivolse a Mia:
- Se farai qualcosa che non mi andrà a genio, la tua testa sarà la prima a cadere. Ricordatelo. - poi scomparve all’interno di quella carcassa di metallo.
Lei rimase a fissarlo, con quel sorrisetto malizioso sulle labbra.

Ci vollero diversi giorni ad Andrew per abituarsi alla presenza di Mia, che si era rifiutata categoricamente di andarsene e lasciarlo da solo, senza ovviamente dare alcuna spiegazione logica in merito. Si era attaccata a lui come un parassita. Si, parassita era davvero la parola giusta.
Finalmente dopo sei giorni di convivenza nel relitto della Damsel, Mia assicurò ad Andrew che sarebbero partiti presto per la capitale, ma che prima dovevano prepararsi adeguatamente.
Nel villaggio vicino si procurarono degli abiti e dei mantelli resistenti che potessero proteggerli dai raggi del sole durante il giorno e dal freddo durante le ore notturne. Inoltre la ragazza decise di prendere anche alcune armi per difendersi in caso di un attacco da parte dei predoni, dato che non era cosa rara incappare in loro durante i viaggi nel deserto.
Fortunatamente i fondi di Mia furono sufficienti per comprare una spada lunga e un piccolo pugnale, che Andrew fu costretto a legare alla cintura nonostante non avesse la minima intenzione di usarla. Non era mia stato attratto dalle lame, inoltre non aveva la minima idea di come usarle in un vero combattimento.
- Se ci trovassimo in difficoltà non usare la tua pistola. Finiremmo dalla padella alla brace. – l’aveva ammonito la ragazza.
Effettivamente aveva ragione. In un pianeta sottosviluppato come quello avrebbe dovuto essere molto cauto nel suo modo di agire. Forse era un bene che Mia avesse deciso di accompagnarlo, grazie a lei sarebbe riuscito a cavarsela in caso di imprevisti.
- Se ci chiedono qualcosa, lascia parlare me. – disse lei mentre si avvicinavano al gruppo di Iguen, pronto a partire.
Andrew si coprì la testa con il cappuccio del mantello e tenne la testa bassa, in modo da non essere riconosciuto.
Iguen si avvicinò a loro ed iniziò a discutere animatamente con Mia:
- Siamo già al completo signorina, dovrete aspettare il prossimo gruppo. -
- Abbiamo assoluta necessità di arrivare il prima possibile a Keeda. Non possiamo ritardare ulteriormente. –
- Ma con un gruppo troppo numeroso rischiamo di attirare l’attenzione dei predoni. No, non voglio mettere a repentaglio la vita di altre persone solo per la vostra fretta. –
- Attirereste la loro attenzione anche con un gruppo piccolo. Siamo solo due persone in fondo, non vi daremo alcun fastidio. –
- Ho detto di no. Andatevene ora. –
- Preferite forse avere due vite sulla coscienza? Se non partiamo assieme a voi partiremo da soli, e sarà solo colpa vostra se verremo rapiti o uccisi, o peggio moriremo disidratati. Ne andrà del vostro onore. –
Andrew pensò che fosse inutile fare un discorso del genere ad un uomo come Iguen. Sembrava uno di quelli che credevano solo nel potere del denaro, disposti a piegarsi solo al suono del dolce tintinnio di monete sonanti. Invece dopo alcuni attimi di silenzio l’uomo accordò loro il permesso di partire insieme al gruppo guidato da lui.
Che avesse sbagliato a considerarlo uno schiavo del denaro? Eppure il suo comportamento prima gli era sembrato evidente, irremovibile sotto ogni aspetto. Come aveva fatto Mia a convincerlo semplicemente facendo leva sul tasto dell’onore?
- Per noi l’onore è la cosa più importante. – disse la ragazza, rispondendo alla domanda inespressa di Andrew – Rischiare di perderlo solamente per non aver acconsentito a due pellegrini di viaggiare attraverso il deserto sarebbe terribile per uno come Iguen, che sopravvive grazie al ricavato di queste spedizioni. Inoltre, gli avevo già offerto il doppio del normale se ci avesse inclusi nel grupo. -
Mia aveva provveduto a creare una storia fittizia come copertura per il loro viaggio, e questo fece presumere ad Andrew che la ragazza non fosse nativa di quel villaggio. Il mercenario sarebbe stato la guardia del corpo di una giovane figlia di mercanti della capitale in viaggio alla ricerca di antichi artefatti.
Inizialmente Andrew era scoppiato a ridere quando aveva sentito quelle parole per la prima volta, ma a quanto sembrava doveva essere una cosa piuttosto comune che le donne avessero guardie del corpo su quel pianeta. Guardandosi attorno infatti vide che nel gruppo c’erano altre donne che avevano al loro fianco uomini armati di spada.
Seguendo il suo sguardo Mia spiegò brevemente la situazione:
- Non so come sia da dove provieni tu, ma qui le donne sono una delle cose più importanti che la natura abbia creato. Sono loro che danno la vita e che la portano in grembo per tutto il tempo necessario. Per questo vengono protette, sempre. -
- Dalle mie parti le donne sanno proteggersi da sole, anzi, certe volte sono anche peggio degli uomini. –
- Mi piacerebbe conoscerne qualcuna un giorno. –
- Non ne sono tanto sicuro. –
Iniziarono a camminare tra la sabbia e le dune verso il sole, che aveva già iniziato una parabola discendente.
Per la notte si accamparono vicino ad una grande duna che li avrebbe protetti da eventuali raffiche di vento provenienti da nord. Il campo non era molto grande e contava si e no cinque tende, tutte fornite da Iguen. Mia si era avvolta nel pesante mantello che avevano acquistato prima di partire ed ora dormiva serena, ma la mente di Andrew continuava a vagare.
Uscì dalla tenda e si mise a contemplare il cielo stellato. Le lune erano già alte nel cielo, eccetto per quella piccola che continuava a rimanere sospesa poco sopra l’orizzonte. Come un occhio, quella grande luna bianca, fissa nel cielo lo scrutava. Rabbrividì, non seppe se per il freddo o per quella strana immagine mentale che aveva avuto guardando quell’astro.
Sentì dei passi alle sue spalle e istintivamente la mano corse alla pistola, ma poi ricordandosi dell’avvertimento di Mia non la prese, mosse il braccio invece verso il pugnale che aveva alla cintura.
- Hei tu. Devi essere il compagno di quella ragazza. - disse una voce maschile alle sue spalle.
- Guardia del corpo direi che va meglio come termine. – specificò lui.
- Non ti ho mai visto da queste parti. Di solito quelli che partono da Tosa sono sempre quelli. Anche la ragazza mi è nuova. –
- Veniamo entrambi da molto lontano. –
Non seppe perché, ma quelle parole gli misero addosso una strana nostalgia, che non provava da un sacco di tempo. Si perse nuovamente a guardare il cielo, come alla ricerca di un ricordo, di una persona.
Il loro viaggio attraverso il deserto durò quasi una settimana, solo allora riuscirono a vedere le grandi mura che circondavano la capitale Keeda.


Prossimamente:
Capitolo III: La capitale




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