Finito quello sfinente conflitto
contro un nemico si forte, ma vivo
e indebolito dalla grigia gabbia
e vessato dal nero spazio astruso,
egli s'accasciò di dolore fitto:
fu però poco più che palliativo,
com'è il tempo per chi ancora vita abbia,
a lui che ebbe già morte e ancor pensava.
Ma non stava veramente pensando
fino a quel momento, per terra steso:
"Cosa... cosa... cosa sta succedendo?"
si chiese completamente confuso;
e anche lo sguardo che stavo guardando
era nuovo o diverso, meno acceso,
o più spento, sicché io rispondendo:
"Sil? Sei libero da che ti piegava?".
Ma prima ancora di una sua risposta,
ci interruppe quel miagolante verso:
“Cos'è successo? Mi sembra che su
viga un clima più strano e meno chiuso,
l'aria che a me era prima troppo tosta...”
s'interruppe, quel miagolante verso,
vedendo lui che l'amava di più,
che da molto di riveder sperava.
Così avvenne l'assai strana riunione,
di quei due spiriti legati al mondo,
l'uno da un immeritato anatema,
l'altro, invece, per farlo concluso:
“Blu... sei proprio tu od ho perso ragione?”
disse il primo; al che ad egli il secondo,
con gioia, dopo il passato patema:
“Sil! Quanto speravo non m’ingannava”
e continuò zampettandogli incontro:
“sono alla fine riuscito a salvarti,
e ora sei di nuovo di te sovrano,
e quindi anch’io non sarò più rinchiuso…”
si sovrappose chi era con noi in scontro:
“Oh, Blu, già io voglio rassicurarti,
avanti il ritirarci dal reo piano,
che mai fu in giusto chi me dubitava,
e mai rimpiansi perché mai tradii:
orsù andiamo, a reclamar’ la pace”.
Il felino replicò, più felice:
“Di ciò fui sempre conscio e mai deluso,
ma lasciami prima porre gli addii”,
e verso noi, divenendo fugace
mentre il fato erodeva la radice
della trista essenza che lo abitava:
“Ahimè, temo non potrò ringraziarvi,
ma tu”, rivolto a me in particolare:
“tu sei molto strano, forse speciale:
del mio estremo lascito fa’ buon uso:
non so invero dove potrà portarvi,
ma così mi è stato imposto di fare”.
Né chi, quando, come, né perché o quale
potei chiedere al gatto che scemava,
lentamente ma inesorabilmente,
insieme al suo ritrovato padrone;
tutto ciò che mi fu concesso udire
furono uno strano verso rinfuso,
ed un leggero seppur prepotente
tintinnio, quando avvenne l’ascensione.
Dove sparirono vidi apparire
una chiave e una lettera sua schiava:
la prima, molto antica in apparenza,
la immaginavo per la porta sotto;
la seconda, che più nuova pareva,
presentava segni forse in disuso,
o forse non di nostra conoscenza:
non facemmo quindi il sigillo rotto
non sapendo cosa quello stringeva,
né cosa il testo di fare ordinava.
Shauna, rimasta sempre silenziosa
-fatto decisamente singolare-,
si fece a me vicina per vedere
ciò che avevo tra le mani racchiuso,
e poi disse con voce fiduciosa:
“Spiriti… ne ho sentito raccontare…
non credevo fossero storie vere;
però un’ingiustizia li imprigionava,
e noi siamo riusciti ad aiutarli,
abbiamo fatto un’altra buona azione!
Che hai trovato? Oh, forse quella chiave
apre…” si congelò guardando in giuso,
dietro le mie spalle; ‘perché non parli?’
non chiesi, che indicò con ragione
un punto, domandando in tono grave:
“Ma… guarda un po’ là, anche prima stava…
stava lì quel lenzuolo?”; mi girai,
e vidi con stupore che in effetti,
dove lei aveva l’occhio e non solo,
di stracci e cenci tetri era soffuso
il pavimento, così paventai
nuovi pericoli e nuovi dispetti;
poi capii: non spettava il grande volo,
ai miseri che il tempo rinnegava.